AGROALIMENTARE E RISTORAZIONE: ALCUNI DEI SETTORI CHE PAGHERANNO IL PREZZO PIU’ CARO DELLE RESTRIZIONI

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Lockdown e restrizioni pasquali costeranno profumatamente. E chi pagherà il prezzo più caro? Il settore della ristorazione e dell’agroalimentare. Con le misure restrittive in vigore in tutta Italia si fermano ristoranti e bar i quali rimarranno attivi solo per le consegne a domicilio e asporto. A questo ci aggiungiamo il fatto che vanno in fumo i guadagni attesi dalle festività pasquali: sono 7 milioni gli italiani che optavano per il pranzo di Pasqua al ristorante, per una spesa pari a 400 milioni di euro. Tutto il settore della ristorazione e dell’agroalimentare ne risentirà, comprese tutte le aziende di prodotti Made in Italy: le chiusure dei weekend e delle festività pasquali costeranno la bellezza di 5 miliardi di euro a tutto il comparto.

Anche Coldiretti chiede a Draghi di sbrigarsi con il decreto “Sostegni”. Bisogna sostenere con delle buone misure il sistema dell’agroalimentare italiano che vale 538 miliardi per un totale di 3,6 milioni di posti di lavoro nei circa 360mila tra bar, mense, ristoranti e agriturismi nella Penisola, 70mila industrie alimentari e 740mila aziende agricole. Anche la vendita di prodotti del Made in Italy ha subito una forte battuta d’arresto: si stima una perdita di fatturato di 11,5 miliardi di euro per le mancate vendite di cibo e bevande. Insomma, cifre da capogiro, ma qualcuno sembra infischiarsene.

I ristoratori sono al collasso: le spese corrono ma le entrate ammontano a zero. Per non parlare poi di tutte le spese arretrate del 2020 che tutti i titolari sono costretti a pagare, nonostante le attività fossero chiuse! Niente indennizzi, chiusure forzate delle attività, ma tasse da pagare obbligatoriamente allo Stato. Questa è un’ingiustizia! Ci aspettavamo un reale cambio di passo rispetto al governo precedente, ma nulla è mutato di una virgola. Stesse misure del governo Conte, ma firmate al nome di Mario Draghi, quindi sono misure legittime secondo non si sa quale paradigma di accettazione. Serve un governo che stravolga il sistema, lo ribalti e lo rifaccia da capo, perché un esecutivo degno di questo nome non deve voler vedere gli italiani chiedere l’elemosina, ma deve sostenerli e tutelare le loro imprese!

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L’ETICHETTA A SEMAFORO” ATTACCA IL MADE IN ITALY”

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Da Bruxelles rischia di arrivare una vera e propria stangata all’agroalimentare italiano. Le penalizzazioni andrebbero dall’etichetta a semaforo, alla demonizzazione di alimenti considerati nocivi per la salute, passando per l’ipotesi del taglio dei fondi per la promozione di alcuni prodotti simbolo della dieta mediterranea. Il dito è puntato contro il Nutriscore, che introduce un sistema di etichettatura semplicistico che penalizza le eccellenze del nostro territorio.

In che cosa consiste questo sistema di etichettatura? Ce lo spiega Il Giornale: “ […] «etichetta a semaforo» che valuta con un lettera e un colore corrispondente (dalla A, che corrisponde al verde, alla E per i cibi rossi) a ciascun prodotto alimentare in base a una serie di parametri nutritivi ma sulla base di un quantitativo fisso, 100 grammi o 100 millilitri, che non tiene conto del diverso peso di ciascun alimento all’interno di una dieta e finisce con il premiare cibi molto raffinati ed elaborati.” Per fare un esempio: la Coca Cola Zero, piena di dolcificanti e coloranti ha bollino B, di colore verdino, e il Parmigiano Reggiano corrisponde alla lettera E, rosso fuoco.

Ma la battaglia pare essere tutta in salita. Questo sistema è già stato adottato in Francia, Germania, Belgio, Olanda e Spagna diffondendo la classificazione il più possibile, anche tra i produttori più piccoli. Una soluzione che penalizzerebbe non poco i prodotti italiani all’estero. È un tipo di etichetta che manda messaggi chiari e semplici, forse un po’ troppo semplici…

Ora anche uno dei pochi settori che è stato solo lievemente toccato dallo tsunami della pandemia, facendo registrare nel 2020 la cifra record di 46,1 miliardi di esportazioni, deve affrontare una stangata immane per colpa di un sistema semplicistico che non considera minimamente la qualità del prodotto. Dove andrà a parare questa transizione ecologica? Le aziende del Made in Italy vorrebbero saperlo.

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